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NO MAN EYES "Harness The Sun" (Recensione)


Full-length, Buil2Kill Records
(2023)

E’ con piacere ritrovarsi sulla scrivania, pronto per essere ascoltato e recensito, un album di sano Heavy Metal italiano, classico nella sostanza, moderno nei suoni e fantascientifico nelle tematiche trattate, con un concept intrigante circa un viaggio spaziale verso il Sole, con sorprese e rivelazioni che aprono scorci di riflessione filosofica, e in effetti ho subito pensato a opere come “Solaris”, il romanzo di Stanisław Lem del 1961 portato per la prima volta sullo schermo cinematografico da Andrej Tarkovskij, nel 1972, e una seconda volta, con esiti ben più modesti, da Steven Soderbergh nel 2002. Come non citare anche “Stalker” del 1979, sempre di Tarkovskij, e ovviamente “2001: Odissea nello spazio”, un capolavoro, fra i tanti, di Stanley Kubrick del 1968.

Quindi in teoria ci sono tutte le carte in regola per fare colpo su un vecchio nerd come me, che su queste cose, ben più che sul fantasy, ci fantastica da una vita! Il disco è suonato e prodotto come meglio non si potrebbe: suoni belli pieni, incisivi, d’impatto, ed esecuzione precisa al sedicesimo, da metronomo. La proposta è senza dubbio abbastanza tradizionale, ovvero un Heavy Metal che però non disdegna l’uso delle tastiere, cosa che non dovrebbe scandalizzare più nessuno: ben pochi avranno da obiettare che un “Seventh Son of a Seventh Son” o un “In the Nightside Eclipse” siano capolavori del Metal, estremo e non, e della Musica tutta in quanto tale! Ma non c’è solo questo: ci sono fughe in doppia cassa di chiarissima derivazione Speed Metal, e perfino un frangente in blast-beat, figura ritmica ormai non più solo esclusiva del Metal estremo.

Ben poco di cui lamentarsi: anche la voce del cantante è interessante, proprio perché non incarna la classica sirena ultrasonica, ma è a suo agio nel suo range, non perde in tessitura vocale, quindi non risulta mai sforzato o strozzato, e riempie molto bene il mix, cosa non facile, visto il bel muro di frequenze spesse un chilometro! Non state lì a lamentarvi dell’eccessiva pulizia nella produzione: va bene così, è la resa sonora giusta per il genere proposto! Se siete dei fanatici del lo-fi per forza, dell’analogico a tutti i costi, anche in lavori dove non sarebbe la scelta adeguata, andate a sentirvi gli svedesi Starscape, che con il loro debut album “Colony” del 2021 propongono quasi lo stesso genere dei nostri No Man Eyes: Heavy Metal classico a tematica sci-fi.

Lì abbiamo una produzione davvero da scantinato, un’esecuzione approssimativa e un cantante semplicemente stonato, perennemente fuori scala: certe cose vanno benissimo se le lasciamo fare a Snake dei Voivod fra il 1984 e il 1988, ma sono contesti giusto un pochino diversi! Qui invece si va forte: magari non tutte le melodie sono memorabili, per lo meno per come piacciono a me, che sono un irriducibile Iron Maideniano; forse c’è più una sensibilità Thrash Metal che NWOBHM, ma ancora una volta, va benissimo così! Piccolo dettaglio da me sempre apprezzato: il disco dura il giusto, ovvero tre quarti d’ora, concedendosi quindi tutto il tempo di farsi apprezzare senza saturare l’ascoltatore. Una mossa assennata, indice di buon gusto e buon senso! Bravi!

Luke Vincent
80 /100

Tracklist:

1. The Altar of Science
2. Craving Tomorrow
3. Isaac
4. Harness the Sun
5. I Am Alive
6. Viracocha
7. Will You Rise
8. My Greatest Fear
9. Son of Man
10. When Life Goes Away

Line-up:
Andrew I. Spane - Guitars
Alex Asborno - Bass
Fabio Carmotti - Vocals
Tony Anzaldi - Drums

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